“Posò la scatola di latta,
richiuse il cassetto, riprese la scatola e si voltò. [...] Poco dopo, aperta la
scatola, restò lì a guardarne il contenuto, senza toccarlo, provando sempre
quella stessa perplessità, quello stesso sgomento. Stette così, in silenzio, la
fronte aggrottata, forse per un quarto d’ora, immobile, seduta davanti alla
scatola aperta, posata sulla coiffeuse. Dopo un po’ di tempo, con gli occhi che
le dolevano e la vista annebbiata, prese a rimuginare con un dito, lentamente
tra quegli oggetti alla rinfusa [...] finché, uno dopo l’altro, ne fece
l’inventario, e cioè: [...]” (Claude Simon, L’erba, Torino 1961)
La storia dei cataloghi è la storia della conoscenza
umana. Catalogare le centoquarantaquattro tribù di Israele, oppure le navi dei
Greci alla fonda di fronte a Troia, significa conoscere, riconoscere,
ricordare. Il catalogo è una delle prime forme di scrittura, che affida la
memoria alla storia.
Enciclopedie,
indici, sillogi, ma anche figuratamente alberi, scale, orti, mappe,
biblioteche, sono la reificazione di una tensione essenziale, che aspira a
enumerare, ma anche a catalogare, a ordinare, a classificare, in ultima istanza
a conoscere.
Il De ortu scientiarum di Roberto Kilwardby, la
Bibliotheca mundi di Vincenzo di Beauvais, Le Tresor di BrunettoLatini, gli scritti di Raimondo Lullo, di Alberto Magno, di Ruggero Bacone non
sono che gli esempi più eclatanti di una biblioteca di cui la memoria ci ha
tramandato probabilmente solo le briciole. Il De proprietatibus rerum di
Bartolomeo Anglico, che ebbe enorme successo di pubblico e di cui prima del
1500 si conteranno almeno 14 edizioni a stampa, può essere assunto come esempio
tipo. L’indice di quest’opera è anche l’indice generale degli indici del Medioevo
e da esso traspare non solo l’universo delle conoscenze, ma anche la sua
gerarchia, il suo ordine, la sua essenza:
Prohemium; De Deo et ejus
essentia (I); De proprietatibus angelorum (II); De anima et ejus proprietatibus
(III); De qualitatibus et humaribus humani corporis (IIII); De partibus humani
corporis (V); De etatibus hominis (VI); De infirmitatibus (VII); De mundo et
ejus proprietatibus (VIII); De proprietatibus temporis et ejus partibus (IX);
De materia et forma (X); De aere et ejus proprietatibus (XI); De avibus (XII);
De aquis (XIII); De terra (XIIII); De provintiis (XV); De lapidibus et metallis
(XVI); De arboribus et plantis (XVII); De animalibus (XVIII); De coloribus, de
odoribus, de saporibus, de liquoribus, de ovis, de numero, de mensuris, de
pondere, de instrumentis musicalibus.
Inseguire, lungo le scritture di Francesco Bacone, di
Diderot e D’Alembert, di Voltaire e di Linneo, la labirintica storia degli
ordinati cataloghi del mondo porterebbe altrove, anche perché altro è lo scopo
di queste brevi righe. Quando nel 1751 Carl von Linné (1707-78) pubblicò il Systema
Naturae, per la botanica incominciò una nuova era: “dal mondo del
pressappoco - si entrò -nell’universo della precisione”.
“Tassonomia”, che dovrebbe più correttamente mantenere
la lezione “tassinomia”, perché taxoV è invece l’albero del tasso, è voce dotta che
significa catalogazione sistematica (botanica e zoologica) e ha il suo etimo
nel sostantivo greco taxiV e nel verbo taxein (= mettere in ordine) e in onoma (= nome). Se la sistematica botanica e zoologica deve
la sua paternità a Linneo, il nome tassonomia trova invece origine nella
Théorie Elémentaire de la Botanique. Exposition des principes de la
classification naturelle et de l’art de décrire et d’étudier les végétaux
pubblicata da A.P. de Candolle nel 1813. Così si può leggere: “I vegetali
devono quindi essere studiati dal naturalista in quanto essi, essendo gli uni
diversi dagli altri, bisogna riconoscerli, descriverli e classificarli”. La
Botanica, viene quindi suddivisa in: glossologia, tassonomia, fitografia,
sinonimia botanica. E’ nata una nuova scienza. Già nel 1817 N.A. Desvaux recepisce
le nuove istanze nel Programme du Cours de Botanique, professé au Jardin des
Plantes d’Angers pour 1817 e il nuovo vocabolo entra, seppure con alterne
fortune (non mancano le concorrenze della “taxologie” e della “zootaxie”)
nell’accademia. Quando nel 1836 Auguste Comte consacrerà la 40° lezione del suo
Cours de Philosophie Positive all’ “ensemble de la science biologique”
non potrà fare a meno di declamare “la grande hiérarchie biologique”, che
diventerà il tema della 42° lezione, intitolata alla “Biotaxique, c’est-à-dire,
la coordination hiérarchique de tous les organismes connus ou même possibles,
en une seule série gènérale”. (J.L. Fischer e R. Rey, De l’origine et de
l’usage des termes Taxinomie - Taxonomie, in “Documents pour l’histoire du
vocabulaire scientifique”, 5 (1983), pp.97-113).
In questo spirito si devono comprendere i tentativi,
assolutamente significativi ed innovativi, di classificare - e quindi anche di
organizzare gerarchicamente e sistematicamente - le cose, i beni materiali, i
“prodotti delle arti e delle industrie”: il compito principale delle
Commissioni delle Esposizioni, che a partire dai primi anni dell’Ottocento
segneranno la vita “pubblica” della rivoluzione industriale.
Il 1862 è l’anno della International Exhibition
di Londra, la medesima in cui il senatore De Vincenzi raccolse materiali per il
nucleo originario per il Museo Industriale Italiano. L’universo della società
tecnologica è organizzato, e sembrerebbe ormai definitivamente cristallizzato -
dopo gli innumerevoli tentativi che ancora oggi leggiamo nei verbali delle
Commissioni, nei cataloghi delle Mostre, negli elenchi dei Premi - in 36
categorie, che invece sono la fotografia della società (inglese) di quell’anno
1862:
1. Cave, miniere, metallurgia e prodotti minerali
2. Sostanze e prodotti chimici e farmaceutici
3. Sostanze usate come alimentari
4. Sostanze vegetali e animali utilizzate nelle
manifatture
5. Ferrovie, incluse locomotive e vagoni
6. Mezzi di trasporto non appartenenti a sistemi ferroviari
e tramviari
7. Macchine per le manifatture e utensili
8. Macchine in generale
9. Macchine agricole e accessori
10. Ingegneria civile, architettura e costruzioni
11. Ingegneria militare, armi e accessori, armi portatili
12. Architettura e costruzioni navali
13. Strumenti scientifici e processi dipendenti dal loro uso
14. Apparecchi fotografici e fotografia
15. Orologeria
16. Strumenti musicali
17. Strumenti chirurgici e loro applicazioni
18. Cotone
19. Lino e canapa
20. Seta e velluti
21. Lana e fibre animali
22. Tappeti
23. Tessuti, filati, feltri come campioni di tintura e di stampa
24. Tappezzerie, pizzi e passamaneria
25. Pelli, pellicce, piume e capelli
26. Cuoio, compresi finimenti e selleria
27. Abbigliamento
28. Carta, oggetti di cartoleria, stampa e legatura
29. Prodotti educativi
30. Arredamento, carta da parati e decorazioni
31. Ferro e oggetti metallicio
32. Coltelleria
33. Oggetti in metalli preziosi e loro imitazioni; gioielleria
34. Oggetti in vetro decorativi e per la casa
35. Ceramiche
36. Articoli da toelette e da viaggio; articoli vari.
Pochi anni dopo tutto sarà differente. E così via
attraverso i Dizionari delle arti e delle industrie, i Cataloghi delle vendite
per corrispondenza, i Programmi delle materie nelle scuole di ingegneria, sino
agli indici delle Pagine gialle e di Internet.
Nel secondo fascicolo della Rivista “Le Genre Humain”
del 1982 Georges Perec pubblica un breve saggio dal titolo Penser / Classer.
Il Sommario, che precede i brevi paragrafi, nella sua caoticità, mi
appare paradigmatico:
“Sommario - Metodi - Domande -
Esercizi di vocabolario - Il mondo come puzzle - Utopie - Ventimila leghe sotto
i mari - Ragione e pensiero - Gli Esquimesi - L’Esposizione Universale -
L’alfabeto - Le classificazioni - Le gerarchie - Come classifico - Borges e i
cinesi - Sei Shônagon - Le ineffabili gioie dell’enumerazione - Il Libro dei
primati - Bassezza e inferiorità - Il dizionario - Jean Tardieu - Come penso -
Aforismi - “In una rete di linee che si intersecano” - Varie - ?”
Scelgo proprio questo confuso (?) indice, come indice
per altrettanti spunti, per un indice degli indici degli indici, per un
universo tecnologico, di una società che non può non dirsi tecnologica, anche
se oggi ama chiamarsi postindustriale, dove la protesi si confonde con l’arto,
dove l’artificiale si confonde con il naturale. Paradosso potrebbe forse sembrare
tutto ciò a Jorge Luis Borges, sempre vissuto sul filo della tensione
essenziale di una biblioteca infinita, ma non è solo così.
Se la tassonomia sia una semplice utopia, o se
invece rappresenti il primo passo verso la maturità di una scienza - il riferimento
alla tecnologia, all’ingegneria, alla scienza dell’artificiale risulta
inevitabile - è problema non solo di ordine pratico, ma “filosofico”. Esso
rimane aperto ad un dibattito che non potrà dimenticare di aprirsi sulle
frontiere, purtroppo ancora oggi spesso rese invalicabili dalle pretese
autoreferenzialità delle singole discipline.
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