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Sunday, November 1, 2020

STEP #13 - La pubblicità

La pubblicità non è solo una caratteristica della società contemporanea, industrializzata e postmoderna. Individuare il proprio strumento nella pubblicità e, in mancanza di documenti, individuare le caratteristiche che avrebbe potuto avere un messaggio pubblicitario coevo all'impiego dello strumento stesso. Si ricorda peraltro che già nell'Ottocento molti giornali erano ricchi di annunci pubblicitari.

Friday, November 11, 2016

Step 15 - Pubblicità

Identificare un manifesto pubblicitario in cui emerga il colore assegnato. Evitare gli spot pubblicitari (TV, Internet, YouTube, ecc.). Utilizzare preferibilmente le pubblicità sui giornali e in genere sui periodici o sui cartelloni stradali.

A tale proposito si veda la mostra "La chimica sui muri"

Tuesday, December 15, 2020

Le domande per l'esame orale

Chi avrà conseguito una valutazione positiva sul proprio Blog, per completare l'esame nelle sessioni ufficiali, dove è necessaria la prenotazione, dovrà rispondere sinteticamente a una delle seguenti domande:

1.     Che cosa è la scienza

2.     Chi fu Edward B. Tylor?

3.     Chi fu Aby Warburg?

4.     Che cosa è il bricolage?

5.     Che cosa è l’antropologia?

6.     Che cosa è una cosa?

7.     Di cosa parla il saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica?

8.     Mi parli delle esposizioni universali

9.     Che cosa è un mito?

10.Mi parli delle rivoluzioni sociali e del ruolo della tecnica

11.Descrivere l’Atlas Mnemosyne

12.Chi fu José Ortega y Gasset?

13.Che cosa significa la tecnica del azar?

14.Che cosa è un rito?

15.Che cosa è un museo?

16.Che cosa sono state le Wunderkammer?

17.Chi è Orhan Pamuk?

18.Che cosa è un documento?

19.Che cosa è un segno?

20.Come si è evoluta l’idea di enciclopedia?

21.Che cosa è una tassonomia?

22.Che cosa è una mappa concettuale?

23.Chi fu Carl Linné?

24.Chi fu Walter Benjamin?

25.Chi fu Claude Lévi-Strauss?

26.Come è organizzato il sapere nell’opera di Bartolomeo Anglico?

27.Come è organizzata la conoscenza secondo l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert?

28.Quando fu scritta l’Encyclopédie e perché?

29.Cosa è una macchina?

30.Cosa è uno strumento?

31.Cosa è un brevetto?

32.Cosa è un marchio di fabbrica?

33.Cosa è la scienza?

34.Come nacque il genere letterario dei “teatri”?

35.Che cosa è l’arte della memoria?

36.Chi fu Raimondo Lullo?

37.Quali testi della letteratura antica trattano della cultura materiale?

38.Quali sono le “cose” trattate dalla Divina Commedia?

39.Come il Web ha rivoluzionato il sapere?

40.Chi fu Ephraim Chambers? E Francesco Griselini?

41.Il calcolatore nella storia della tecnica

42.Chi fu Charles Babbage?

43.Il ruolo dei musei scientifici

44.Dall’astrologia all’astronomia

45.Misurare il futuro

46.Che cosa è un modello?

47.Spiegare la differenza tra machina e ingenium

48.Che cosa fu il deus ex machina?

49.Tracciare una storia della parola “macchina”

50.Spiegare le varianti linguistiche sul tema della “cosa”

51.Chi fu Roland Barthes?

52.Chi fu Georges Perec? Per cosa lo ricordiamo?

53.Quali sono i Miti d’oggi per Roland Barthes?

54.Parlare delle mitologie contemporanee e delle “cose” a loro associate

55.Che cosa sono gli “emblemi” nella cultura barocca?

56.Chi fu Andrea Alciato?

57.Parlare della pubblicità e del suo rapporto con le “cose”

58.Le cose nella mitologia greca

59.Chi è Jonathan Gottschall e che cosa ha scritto?

60.Italo Calvino e il suo rapporto con le “cose”

61.Spiegate la differenza tra macchina e utensile

62.La macchina in Karl Marx

63.Che cosa è un giocattolo ?

64.Parlare della materialità della memoria

65.La pubblicità e il consumismo

66.La rivoluzione agricola del neolitico

67.La rivoluzione industriale

68.La rivoluzione digitale (è corretto parlarne ora)?

69.Che cosa è un medium?

70.Cosa è un feticcio?

71.Cosa è una protesi?

72.Come si può definire l’artificiale?

73.Spiegare le differenze tra arte e tecnica (ieri e oggi)

74.Che cosa è l’aura per Walter Benjamin?

75.Mi dia una definizione di “cultura”

76.Il potere delle immagini

77.I materiali sintetici

78.IL vetro nella storia

79.La mappa concettuale

80.Il museo: significato e storia

81.La chimica nella storia delle cose

82.Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione

83.La globalizzazione

84.Ngram Viewer: che cosa è

85.Bronislaw Malinowski

86.James Frazer e il Ramo d’oro

87.La normativa tecnica

88.I database della tecnologia

89.Che cosa è un francobollo e perché ci interessa

90.La misura delle cose

91.La mitologia del “fare”

92.Le collezioni etnografiche e i musei della cultura materiali

    93. Inoltre potrà essere richiesto di parlare di una delle ministorie delle cose


... e ora una lettura interessante. 




 


Wednesday, October 31, 2018

Step #7 - La pubblicità

Indicare almeno un esempio di pubblicità della "cosa" (escluso Ikea) evidenziando se possibile lo slogan o il messaggio pubblicitario. E' possibile fare riferimento a uno spot video. Naturalmente la didascalia deve specificare il contesto culturale e temporale del messaggio.

Friday, December 1, 2017

Leonardo Sinisgalli

Leonardo Sinisgalli (Montemurro 1908 - Roma 1981) laureatosi in ingegneria all'Università di Roma "La Sapienza" dopo numerose esperienze in Pirelli e Olivetti approdò all'IRI diventando il direttore della Rivista "Civiltà delle Macchine" fondata da lui assieme a Giuseppe Eugenio Luraghi.

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Leonardo Sinisgalli fu ingegnere, poeta, designer, artista. Famosa è la sua "idea" per una pubblicità della macchina da scrivere Olivetti Studio 44.

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Friday, October 23, 2015

Homework # 03

Si richiede l'inserimento nel Blog personale dei seguenti post:

03.01 Una presenza letteraria nel mondo antico della propria caratteristica
03.02 Una pubblicità che tratti la propria caratteristica
03.03 Un personaggio che abbia avuto a che fare con la caratteristica
03.04 Una favola che parli della caratteristica (inserire breve citazione e fare link eventuale)
03.05 Un cibo che abbia attinenza con la caratteristica


Thursday, December 3, 2020

Leonardo SInisgalli a Milano

 

"Civiltà delle Macchine", n. 5, 1955

Le mie stagioni milanesi, di Leonardo Sinisgalli

REDUCE da Padova dove ero andato per le prove scritte di Scienza delle Costruzioni e di Impianti elettrici (il mio primo passaggio sul Po) capitai a Milano la prima volta e mi feci portare in viale Romagna dove da qualche anno abitava mia zia. Era il novembre del 1933, se ricordo bene. Avevo addosso un impermeabile, retaggio degli ultimi anni di università. M'era servito anche da ufficiale: bastava che appuntassi sul bavero due stellette minute. E il bavero, infatti, era tutto punzecchiato come i polpastrelli di Madame Bovary. Ricordo, ma non c'entra niente con questa storia, la sera in cui una ragazza che frequentava la mia pensione in piazza Indipendenza, vicino alla nostra caserma, volle mettersi il mio impermeabile, il mio berretto, la mia sciabola, gli stivati, gli speroni, e uscire sulla strada per farsi salutare dai nostri artiglieri in libera uscita. A Padova e a Milano quel triste indumento si rivelò non soltanto precario, ma veramente povero. E la mia padrona di casa a Lambrate dovette simpatizzare con il cupo ingegnere mussulmano che veniva ad affrontare la nebbia così disarmato. Chi ha letto qualche mio libro conosce queste cose in un'altra chiave. Qui debbo toccare ragioni e non immagini, qui devo parlare della mia educazione al lavoro più che delle mie effimere conquiste di stile.

Prima di arrivare al noviziato, prima di giostrare con gli orari e i doveri, io ebbi un lungo periodo di disoccupazione. Ma il mio temperamento riuscì a salvarmi anche dai compromessi che, per stanchezza e per inedia, avrei potuto forse accettare quando ero davvero stufo di non far niente. "A me pare che ti non fai na got " mi disse la vecchietta di piazza Tricolore quando si accorse che mi svegliavo tardi, uscivo per mangiare, tornavo nella camera il pomeriggio per dormire. Ho raccontato tante volte agli amici che quella vecchietta spostava perfino le sfere dell'orologio per pigliarmi in castagna e proibirmi di metter piede nella stanza prima delle ore pomeridiane, l'ora in cui la mia camera al quarto piano, sul viale Biancamaria, poteva dirsi rassettata. Carmine Stella, il fratello di mia zia, mi aveva promesso un posto presso la Ditta Laros, fabbricante di piccoli motori per fuoribordo. Anche al Politecnico l'ingegner Montoro mi aveva fatto intravvedere la possibilità di un'occupazione nell'impianto di raggi X dell'Istituto di Metallurgia. Avevo lavorato con lui a Roma qualche mese e sapevo leggere negli spettri di Debye, nei microcieli di Laue.

Rasentavo le fabbriche verso il mezzogiorno, quando mi ero appena alzato dal letto, sentivo il fischio delle sirene come una frustata, guardavo le file degli operai che inforcavano le biciclette, e quelli che andavano all'osteria, e i muratori che consumavano sui margini del prato i loro cartocci. Avevo pietà di me. Ma non ero infelice, i miei compagni erano l'Amore e la Poesia. Mi consideravo fortunato? Non ricordo. Vivevo come un sonnambulo. Mio padre mi faceva mandare dalla Colombia una cinquantina di dollari al mese dai suoi cognati. Mi venivano spediti da una Ditta di Monza con cui erano associati. Il buon Tosetti, procuratore di quella Ditta, mi portò anche a Biella in automobile. Per poco non mi congelai. Egli se ne accorse, come se ne accorse Carmine Stella che andava lassù a ordinare grosse partite di pettinati per i suoi fratelli negozianti a Bogotà. Mi regalarono due tagli di abito e Carmine Stella mi portò dal suo sarto e ordinò per me un bellissimo pastrano su misura. Mia zia mi fece trovare un paio di guanti sotto l'albero di Natale. Le mie cugine mi diedero scarpe e cravatte.

Anche la mia speranza di trasferirmi a Biella in una fabbrica di tessuti svanì molto presto. Intanto io arrotavo i denti attorno agli ossi di manzo che mi affannavo a spolpare in una mensa a prezzo fisso, in piazzale Oberdan, vicino all'Ufficio delle corse. Anche l'ingegnere Picker mi aveva promesso di farmi lavorare nella sua azienda. Mi rimisi a studiare elettromeccanica. Credo che egli fabbricasse contatori e progettasse installazioni elettriche per le case e le officine. Aveva lo studio in via Tadini, all'ombra di quegli alberi indimenticabili che confinano con i giardini della bellissima ripa malfamata. Risposi anche a una offerta di lavoro che la mia padrona di casa aveva letto sul giornale. Ebbi la fortuna di essere chiamato, e una mattina di pioggia raggiunsi via Borghetto cinque minuti prima delle otto. Mi diedero da leggere un mucchio di stampati sulle applicazioni di una lega antifrizione. Poi mi capitò di dover rispondere a una telefonata dalla Germania. Non potevo cavarmela. Mi dissero che il lavoro richiedeva una perfetta conoscenza della lingua. Tirai avanti fino alle cinque del pomeriggio. Me ne tornai a casa risollevato, dopo quella tragica esperienza. La signora Mileo era afflitta della mia sorte. Ma ero innamorato, avevo la mia bella tigre che divorava da Motta babà con la crema. E poteva accadere intorno a me il finimondo, non me ne sarei accorto. Riprendemmo quelle sere a giocare a scopa e a interrogare il mio incerto destino.

L'estate venne da Bogotà un cognato di mia zia, Vincenzo Buraglia, con due bei bambini che parlavano lo spagnolo degli angeli e mi chiamavano " il capitano ". Vincenzo Buraglia era un meccanico provetto, pieno di genio e di bontà. Mi trattava perfino con rispetto, per via della mia laurea. Ma si accorse subito che io non sarei stato capace di avvitare un bullone o di mettere a posto la punta di un trapano. Sapevo tanto di matematiche, ma capivo pochissimo di macchine. Le mie mani erano rimaste stupide. Ero ammiratissimo della sagacia di Vincenzo, gli invidiavo le nocche robuste e capaci, le orecchie attente a qualunque irregolarità nel funzionamento dei cilindri. Vincenzo distingueva i buoni vini e i cattivi lubrificanti. A Milano aveva portato un suo brevetto, un nuovo tipo di carburatore a farfalla che avrebbe dovuto costruire per la Zanchi-Angeloni. Si cominciarono a far le prove nel Laboratorio di Macchine del Politecnico sotto il controllo dell'ingegner Spelluzzi. Facemmo anche molti viaggi sulle autostrade. La farfallina d'alluminio ogni tanto perdeva qualche ala e il carburatore rimaneva soffocato. Vincenzo Buraglia pensava d'inserirmi nella società che si sarebbe certamente costituita per fabbricare il suo apparecchio. Sognava licenze da vendere in tutto il mondo, fabbriche da impiantare in tutti i Paesi. Avevamo fatto insieme molti viaggi, sperperato molto danaro. Ritornarono l'autunno in Sud America. Io mi decisi ad anticipare perfino una caparra a un filibustiere che abitava accanto a noi, in via Teodosio, e che mi aveva promesso lavoro in un'industria di materiali per l'edilizia.

Era trascorso più di un anno. Un giorno il poeta Alfonso Gatto mi indicò un avviso su una colonna del " Corriere ". " Può darsi che t'interessi ", mi disse. Lo lessi: cercavano un ingegnere-giornalista per il Servizio Propaganda di una Società. Andai in via Macedonio Melloni a presentare le mie carte. Dopo qualche mese mi richiamarono e mi dissero di organizzare lezioni e conferenze sull'arredamento e l'architettura moderna. Mi riempii la borsa di campioni di linoleum. Intanto ero stato negli stabilimenti a Narni, in Umbria, per seguire la fabbricazione dei rotoli. Ebbi l'occasione di viaggiare di provincia in provincia. Passai ore bellissime a Pavia, a Mantova, a Cremona, ore che non dimenticherò mai. Stavo fuori per cinque o sei giorni, qualche volta per due settimane. Tornavo nella mia stanzetta di via Rugabella la sera di sabato. Presi gusto al lavoro. Il lavoro mi restituiva il piacere di starmene qualche volta a scrivere e a sognare, il piacere di vivere che avevo quasi perduto. Scossi la mia accidia, mi svegliai. Arrivavo ai treni con solo qualche minuto d'anticipo. Io ho quasi perduto la memoria ma queste minuzie che ho racimolato di colpo devono aver avuto allora riflessi assai dolenti. Non ho fatto sforzi per allineare i ricordi della mia preistoria milanese.

Un pomeriggio di estate del 1936 mi presentai all'ingegnere Adriano Olivetti che mi aveva chiamato, per un colloquio, nel suo ufficio di via Clerici. Gli portavo il mio " Quaderno di Geometria " in un estratto della rivista " Campo Grafico "; l'avevo scritto l'inverno prima a Montemnurro, quand'ero quasi deciso a non tornare mai più in città. Occupava appena tre fogli di scrittura minutissima che presero corpo a Milano, per la gentilezza del mio caro amico Tommaso Bozza, allora addetto alla Biblioteca di Brera, in circa una ventina di pagine dattiloscritte. Non avevo altre referenze da dare; sì, qualche poesia della prima stagione che Ungaretti aveva citate, ancora inedite, in un articolo che aveva scritto per la " Gazzetta " di Amicucci. I versi "trascendentali" (l'aggettivo è di Gianfranco Contini) e i miei primi assaggi di matematica bastarono all'ingegnere Adriano per propormi la direzione del suo Ufficio Tecnico di Pubblicità. Designazione a quei tempi ambitissima per l'alta tradizione che in pochi anni ­ attraverso l'opera di Xanti Shawinsky, di Costantino Nivola (entrambi in Nord America oggi) e il fanatismo dell'indimenticabile Zweteremich ­ quello studio era riuscito a imporre in Italia e fuori. Il mio curriculum di appena un anno presso la Società del Linoleum mi era servito a qualcosa; sull'esempio di un uomo integro e astutissimo, un celibe vegetariano e poliglotta, il signor Lesti (poi passato alla Direzione Commerciale della Saffa) avevo imparato qualche regola, qualche segreto di quella che era allora considerata la strategia pubblicitaria. Il signor Lesti non dava, seguendo l'esempio degli americani, grande importanza alla forma del messaggio; egli pensava che un buon servizio doveva funzionare in strettissimo accordo con i venditori. Il cliente non aveva la fisionomia che noi gli abbiamo dato, egli non lo sopravvalutava, non lo aggrediva. Lo raggirava, lo circuiva, non lo prendeva di petto. Ma pochi meglio di lui saprebbero ancor oggi valutare l'efficacia e il prezzo di un intervento pubblicitario. Quanto si può pagare la copertina di tutti gli elenchi dei telefoni? Quale può essere la convenienza di un manifesto diffuso in tutto il Paese? E qual è la dimensione giusta di un annuncio da pubblicare sui giornali? Conviene tenere fisso l'annuncio o svolgere una serie di argomentazioni? Qual è il ritmo migliore per un prodotto di largo consumo e per uno strumento di lavoro? Erano problemi di cui il signor Lesti possedeva sempre la soluzione giusta, problemi che ancor oggi si presentano insidiosi e imbarazzanti. Quand'io andai alla Olivetti conoscevo dunque un po' di questa aritmetica, di questa ars divinatoria. Ma chiesi un impegno superiore al mio mestiere. Più che affidare i risultati alla tattica, al calcolo statistico, io puntai con molta temerarietà sulla simpatia, sulla seduzione di un linguaggio nuovo, sulla messa a fuoco di una serie di immagini un poco enigmatiche, chiamando il lettore, l'utente, a partecipare a una specie di symposium dell'intelligenza, a una parade, a un certame. Con la collaborazione di un gruppo di allievi della Scuola di Monza (Pintori, Guzzi, Algarotti) riuscimmo a fabbricare in pochi anni una tale congerie di monadi, di matrici, di cellule, di molecole grafiche, plastiche e pittoriche, da surclassare tutto il lavoro del genere che si faceva in Italia.

Noi affermammo che una pagina stampata, una vetrina, un fotomontaggio costituivano delle testimonianze nientaffatto trascurabili della nostra civiltà, della nostra cultura. La fabbrica di Ivrea lavorava con una tolleranza che non doveva superare il millesimo di millimetro; come potevamo noialtri dimostrarci sciatti o approssimativi? Credo di aver io stesso facilitato allora i primi incontri tra l'ingegnere Adriano Olivetti e Marcello Nizzoli, nello studio di via Rossini, dove Nizzoli lavorava da almeno vent'anni. E fin da allora ebbi modo di discutere con loro i primi simulacri in gesso e in legno di quella che dopo qualche anno divenne la "Lexikon", la macchina per scrivere più bella del mondo. Da uno stanzone che occupavamo sul cortile ci trasferimmo al primo piano su via Clerici, e ricordo ogni sera il passaggio in bicicletta, sempre alla stessa ora, dell'uomo-cane, il latrato che era per noi come il suono dell'Angelus. Quel nostro mestiere non dispiaceva neppure ai nostri amici. In via Clerici capitarono Vincenzo Cardarelli ed Elio Vittorini, Quasimodo e Gatto, Sandro Penna e Vittorio Sereni. Capitarono pittori, scultori, architetti. Persico era morto qualche anno prima e noi ci consideravamo tutti suoi discepoli, perché fu lui, fu il suo esempio, i suoi discorsi, i suoi incoraggiamenti a farci considerare allo stesso livello la dignità del lavoro e la responsabilità dell'arte. Ci sentivamo sempre confortati e ammoniti dalla sua cara ombra.

Le nostre audacie, i nostri entusiasmi, il mio fanatismo di allora non si giustificherebbero, non si capirebbero se non ci fosse sullo sfondo una città come Milano, il credito che i milanesi sanno dare alle operazioni che un poco li sollevano dalla vita e dal senso comune. Io stesso non avrei mai preso sul serio certi problemi se mi fossi immiserito su un piccolo Olimpo, se anch'io, sull'esempio dei miei amici letterati, mi fossi impietrito nel mezzobusto con l'illusione di entrare così di soppiatto nella storia. Milano ci diede il coraggio di alimentare continuamente la nostra disposizione a comunicare col prossimo, anche a costo di cambiare il physique du rôle, col vantaggio di passare, come Seurat, per un personaggio qualunque, un borghese, più che per un intellettuale stravagante, cinico, scettico e, tutto sommato, noioso.

Quel mio lavoro durò ininterrotto fino al principio della guerra. Nel nostro atelier ci fu una fioritura incessante di immagini, di schemi, di apparati. Come ho detto altrove, il dèmone dell'analogia ci suggeriva ogni giorno uno spunto. I miei ragazzi erano di un'abilità portentosa, realizzavano in un batter d'occhio qualunque fantasia, gli accostamenti più inattesi di oggetti, di forme, di colore, di caratteri. Le vetrine che allestimmo nel negozio in Galleria, per un paio d'anni ogni quindici giorni, erano seguite dal pubblico come una vicenda cittadina, una gara, un exploit. Corrado Alvaro scrisse allora una corrispondenza per " La Stampa " di Torino in cui sottolineava il significato di questa partecipazione collettiva alle prove di un gusto senza compromessi, senza retorica, senza piaggeria. Finalmente " la merce " guadagnava la sua dignità di " oggetto ", il frutto del lavoro di una grande officina veniva portato in mostra col rispetto e la venerazione che impone un'opera d'arte. Il nostro journalisme architectural si teneva al corrente di tutte le conquiste vive della tecnica e della espressione. Guido Modiano definì su " Domus " la stretta parentela tra architettura e grafismo in un bellissimo pezzo, dedicato ai nostri involucri rigati. Una vecchia copertina della " Domenica del Corriere " era accostata a una scultura di Fancello o di Fontana o di Broggini. Una superficie matematica pigliava risalto e significato al confronto di una tastiera ingigantita. Elio Vittorini, invitato a scrivere una prefazione alla raccolta di alcune nostre pagine di pubblicità, puntò diritto allo scopo quando definì il nostro lavoro come un contributo al riscatto dalla retorica e dal dogmatismo. Furono davvero i miei anni belli, gli anni di via Clerici, di via Rugabella, di via Velasca, di Bottonuto. Furono, è incredibile, anche le stagioni più feconde per la nostra poesia. Perché proprio in quegli anni partirono da Milano i nostri libretti di versi. E Milano, credo, non aveva avuto mai un peso così decisivo nella storia della nostra cultura. Chi legge oggi gli epigrammi a San Babila, a Porta Nuova, a Via Velasca, alle eglantine, alle pervinche, forse stenta a riconoscere la città della nostra giovinezza.

La mia seconda stagione milanese porta il peso e la responsabilità dei quarant'anni (i capelli grigi e l'emicrania, piazza Duse e via Zuretti, le trattorie di Giuntoli e di Pepori), i colori giallo e rosso della Pirelli. Dentro questi anni bisogna far entrare il trambusto di piazzale Loreto e gli odori della Bicocca. Bisogna far entrare le Alpi che qualche volta, nei giorni limpidi, io riuscivo a scoprire dalla finestra dell'ottavo piano del Palazzone. Poi la monotona e bellissima storia del marciapiede di via Vittor Pisani, dalla porta dell'Albergo Doria fino in fondo, dove, dall'altezza di un gradino appena (il gradino di un marciapiede) si scende nel piazzale della Stazione. Si scende sul piazzale con un salto di appena diciotto centimetri, che è stato sempre per me, nuotatore impossibile, un vero e proprio t tuffo a testa in giù, dal trampolino (del letto, dei libri, della solitudine) fin sotto il livello della giornata di lavoro. La storia del marciapiede di via Vittor Pisani, questo incredibile tappeto d'asfalto, più prestigioso di un tappeto orientale, più ricco di un sottobosco, più enigmatico del fondo del mare, la racconterò un'altra volta. So che una sera ho rivelato a Riccardo Manzi la mia scoperta e siamo stati insieme due ore, a testa bassa, a ripercorrere su e giù, a leggere rallentati duecento metri di film. È un film da fare, un film di duecento metri (una misura assurda!) che forse nessuno intenderà: un film sulle crepe, sulle incrinature, sui solchi, sulle lacerazioni, sulle cicatrici, sui cunicoli, sui simboli, infine, che pioggia e nebbia e gelo hanno tracciato nel bitume. E poi, eppoi c'è il trolley del tram numero 7.

Se sfoglio i miei appunti di allora, autunno-inverno 1948, trovo curiose indicazioni, trovo i segni delle prime punture, il grafico della linea di penetrazione del mondo della gomma nel inondo dei miei pensieri. Trovo scritto, per esempio, che le vie del sonno sono serpentine, e c'è vicino a questa nota uno scarabocchio che potrebbe essere anche un ritratto della tortiglia, del cord, oppure l'ideogramma di un battistrada. Appresso trovo divertimenti di questo genere: " I surrealisti devono aver cercato parole elastiche; Moore ha scoperto una scultura pneumatica; Dalì ha fabbricato orologi di caucciù ". E in altra pagina, trascritta l'ultima terzina di un famoso sonetto di Rimbaud: " Où, rimant au milieu des ombres fantastiques. Comme des lyres, je tirais les élastiques Des mes souliers blessés, un pied contre mon coeur! ".

È chiaro, si tratta di schermaglie, di difese superflue, di raggiri premonitori: il regno del flessibile sceglieva le vie più tortuose per farsi strada nel mio cervello.

Poi ci furono le impressioni in fabbrica. " I fili, i canapi, le trecce, i cavi dentro cui trascorreranno i fremiti delle acque, i sobbalzi delle piogge e delle nevi. I fili di rame che svuotano i laghi, ecc. ". Il 29 novembre 1948 feci la seconda visita ai cavi (i cavi m'intrigavano non c'è dubbio). " L'operazione più intrinseca che si compie entro queste immense navate, questi altissimi padiglioni, consiste nel proteggere il rame dal contatto diretto con la terra. È strano come tutti i traslochi delle cose più delicate e lubriche, sangue, semenza, clorofilla, linfa, energia, vis, suono, si compiano meglio all'oscuro, sottoterra. L'isolamento dei cavi deve evitare le dispersioni di corrente, deve tamponare qualunque eventuale e possibile emorragia. E gli operai addetti alle macchine fasciatrici hanno anche nella figura qualcosa che ricorda gl'infermieri e gli aiuti delle sale operatorie. C'è ancora di più: il sistema di bendaggio (gomma, carta, miscela, olio) ricorda molto da vicino i processi di mummificazione. Con la differenza che davvero entro questa basilica si opera una difesa dell'anima., perché l'elettricità è tutta anima e niente corpo. Il midollo di questi possenti pitoni (lunghi anche mille metri e grossi fino a centocinquanta millimetri) è quasi sempre triplice, ternario, perché in effetti, l'energia è trigemina. È un triangolo. Una trinità ".

Vedete, ero già posseduto. Ero perduto.

Fu in quella stessa epoca che visitai alla Bicocca il prof. Allavena e conobbi il dott. Oberto, e mi documentai sulle macromolecole, sulla memoria della gomma (l'isteresi elastica è memoria!) e sull'influenza che il nerofumo (in polvere millesimale) e lo zolfo (il fiato di Satana) esercitano sull'assetto delle catene molecolari.

Così dopo un rapido noviziato, tra alchimia e tecnologia, presi il mio posto tra produzione e distribuzione, tra operai e clienti. Ebbi poco tempo per sottilizzare sulla vendita e sul vantaggio. Mi buttai nella mischia, mi attaccai ai telefoni. Ogni gesto doveva da allora diventare pubblico, manifestarsi, chiamare, soccorrere, spingere, urtare, sedurre. Fu allora, novembre 1948, che intorno a noi, Luraghi, Tofanelli e io, cominciammo a radunare gli amici e a coinvolgerli nelle nostre stesse responsabilità.

Devo dire di più. Luraghi accarezzava da tempo il progetto di una Rivista Aziendale e per questa iniziativa aveva ottenuto il consenso del dott. Alberto Pirelli e l'adesione degli altri direttori. Credo che ne parlasse a Tofanelli fin dall'estate del 1948. E a quel tempo, infatti, risalgono le prime " avances " che Tofanelli mi rivolse per convincermi a tornare a Milano, sulla breccia. E in verità, ripreso a Milano il mio lavoro accanto a Luraghi, trovai dopo qualche giorno già pronti un progetto che " in nuce " o in bozzolo, o in germe, conteneva l'idea della Rivista. Lo so che " dal germe di un'idea può nascere Apollo oppure un mostro ": devo dire che per il calco già pronto non fu difficile scegliere il materiale meglio rispondente, meglio aderente al disegno di quella forma.

Fu discusso a lungo il titolo, fu vinta anche la nobile riservatezza del dottor Piero e del dottor Alberto: ci si convinse tutti che quel nome, meglio di qualsiasi sigla astratta e di qualunque proposito presuntuoso, poteva accogliere in Italia e all'Estero una massa imponente di amici guadagnati in settanta anni. Rimando il lettore alle precise parole introduttive che comparvero nel primo numero, a pag. 8, con la firma di Alberto Pirelli.

Che cosa distinse subito, fin dai primi numeri, la Rivista Pirelli dalle altre pubblicazioni analoghe? C'erano sulla piazza ottimi esempi: " Ferrania ", " Edilizia Moderna ", la " Rivista del Vetro ", varie riviste farmaceutiche. C'erano stati, ma tanto remoti, i venti numeri e più di " Tecnica ed Organizzazione ", stampati a Ivrea dalla Olivetti. Devo dire che lo stacco da quel genere di divulgazione fu netto. Perché i due piatti della bilancia, tecnica e cultura, problemi e suggestioni, inchieste e letteratura, concretezza e divagazione, furono tenuti sempre in equilibrio. E i nomi di Ungaretti, di Montale, di Quasimodo, di Baldini, di Vergani, di Carrieri, di Calzini, di Bernari, di Valsecchi, di Dorfles, di Linati, di Barisoni, di Biasion, di Manzi, di Munari, li troviamo fin dai primi numeri affiancati a Canestrini, Ambrosini, Verrati, Cesura, Nutrizio, Minoletti, Dicorato, Bonicelli, Gennarini, Laurenzi, Sorrentino, Patellani, Suppini. Convincere letterati e giornalisti (e tra i più illustri) a scoprire i segreti della tecnica, della scienza, del progresso (lo sport trova tifosi più disponibili in ogni categoria) è stato un vanto della Rivista. Che bandì con successo anche due concorsi, il primo per tre racconti sportivi, il secondo per dieci cronache sportive.

Pubblicammo in quattro anni tutti articoli di prima mano, tutti scritti inediti. Provocammo incontri tra scienziati e giornalisti, tra tecnici e poeti. Senza tema di commettere eresie mandammo i reporters negli studi, nelle aule, nei laboratori a sorprendere con lampi di magnesio personaggi tanto illustri quanto riluttanti, come Severi. Amaldi, Marcello, De Marchi, Gabrielli, Nervi, Colonnetti, Ponti, Fauser, Padre Gemelli, Smeraldi.

Se si pensa che soltanto in questi ultimi anni il giornalismo italiano ha guadagnato " in funzione " quanto ha perduto " in rappresentazione ", se si considera che è tanto difficile da noi torcere il collo alla retorica e che si può essere tacciati di improntitudine se si chiede uno scritto su tema obbligato, perché il bau bau dell'ispirazione, non è del tutto sotterrato, si comprende meglio il significato di un lavoro che, bene o male, era una prova di sottomissione, non certo di orgoglio.

All'intelligenza italiana non si sollecitarono sviolinate ed exploits, ma piuttosto constatazioni, sopraluoghi, rendiconti. Tanto meglio se qualcuno riusciva ad accendersi di fronte a una tesi, a un incontro imprevisto, a uno spettacolo, a un dispositivo. Devo confessare sinceramente che il tempo dei Francesco Redi e degli Algarotti, per non dire dei Galilei e dei Cattaneo è davvero lontano. La nostra cultura è quasi tutta impastata di storia e di oratoria. È impastata per fortuna anche di poesia. E io credo nell'acume, nella curiorità, nell'entusiasmo dei poeti: credo nella loro capacità di sorprendersi, di riflettere, di approfondire.

Vorrei dire, di straforo, che una delle mie ambizioni fu proprio questa: provocare, stimolare una prosa analitica piuttosto che il solito pezzo commemorativo, un referto e non un inno, un commento non una predica. Io sono sicuro che se i nostri scienziati e i nostri tecnici considerassero l'esercizio della scrittura alla stregua di un'operazione dignitosa, (una vera e propria lima del pensiero) qual è sempre stata per Leonardo o per Cartesio, per Leon Battista Alberti o per Maxwell, per Linneo o per Einstein, e se viceversa i letterati e i filosofi e i critici, come hanno fatto del resto Goethe e Valery, Hegel e Bergson, Giedion e Dewey, accogliessero, con rinnovata simpatia, le ipotesi e i risultati del calcolo e dell'esperienza, una concordia nuova potrebbe sorgere tra le inquietudini e le stanchezze del nostro tempo, non voglio dire un nuovo mito. È molto probabile che questo genere di letteratura " a comando ", questo giornalismo tecnico prenda il sopravvento sulle pagine scritte in libertà, sulla prosa gratuita, sulla scrittura disinteressata. Abbiamo letto in questi ultimi giorni una " memoria " che accompagnava la relazione di un bilancio di una grande società finanziaria belga: un saggio sull'utilizzazione delle materie prime che poteva portare una firma celebre, ed era invece soltanto una plaquette anonima. Io aspetto il gran giorno in cui il Regno dell'Utile sarà rinverdito dalla cultura, dalle metafore, dall'intel1igenza. Quest'estate ho aperto qualche libro dei nostri illuministi, l'abate Galiani, Filangieri, Verri. Mi veniva da confrontare la nitidezza dei loro pensieri e delle loro parole alle sbavature, alla schiuma, alla sciattezza di tanti articoli di fondo dei nostri giornaloni. Ho cercato sempre di stimolare nei collaboratori la ricerca di un'espressione meditata: ma c'è ancora molto cammino da percorrere per guadagnare precisione e leggerezza.

Ho rispolverato alcuni vecchi ricordi e qualche memoria di ieri. Ho voluto pagare il mio tributo a una città adorabile, a degli amici carissimi. Per i miei lettori di oggi, i lettori di " Civiltà delle macchine ", ho creduto, necessario dopo quasi tre anni di sodalizio (" Civiltà delle macchine " prese forma, appunto tra il settembre e l'ottobre del 1952) mettere sul tavolo anche le mie carte più antiche. La nuova impresa, temeraria e affascinante a cui mi sono votato, in questi ultimi tre anni ha successi superiori a ogni speranza. Siamo sicuri di poter fare ancora meglio.

Saturday, May 2, 2020

Esami in Virtual Classroom

Il giorno 5 maggio a partire dalle 14:00 si terranno gli esami che erano previsti per la sessione di marzo scorso. Gli esami si terranno esclusivamente in forma orale e le domande verteranno sui "protagonisti" e sui "concetti chiave" della storia delle cose. E' pure prevista una domanda sul blog personale nel caso sia stato realizzato secondo le istruzioni fornite a lezione. In ogni caso la materia è stata sempre presentata su questo blog: il testo di riferimento è Maurizio Vitta, Le voci delle cose.


I "protagonisti": Francesco Bacone, Jean Baudrillard, Walter Benjamin, Michel Foucault, Ernest Gombrich, Claude Levi-Strauss, Carlo Linneo, William Morris, Bruno Munari, José Ortega y Gasset, Joseph Paxton, Georges Perec, John Ruskin, Joseph Schumpeter, Leonardo Sinisgalli,Adam Smith, Fiedrich Winslow Taylor Edward Burnett Tylor, Aby Warburg.



I "concetti chiave": Ambiente / Ambient; Arte / Art; Artefatto  / Artifact; Artificiale / Artificial; Artigianato / Craft; Brevetto / Patent; Bricolage / Bricolage; Catalogo / Catalogue; Civiltà / Civilization; Comunicazione / Communication; Consumo Consume; Cosa / Thing; Cultura / Culture; Design / Design; Documento  / Document; Emblemi / Emblems; Esposizione / Exhibition; Fare / to make; Feticcio / Fetish; Industria / Industry; Innovazione / Innovation; Macchina / Engine; Memoria / Memory; Merce /  Goods, Commodity; Misura / Measure; Mito / Myth; Moda / Fashion; Museo / Museum; Narrazione / Storytelling; Norma / Standard; Oggetto / Object; Poesia / Lyrics; Progetto / Project, Design; Protesi / Prosthesis; Pubblicità / Advertisement; Rivoluzione / Revolution; Scatola / Box; Segno / Sign; Spazzatura / Garbage; Standard / Standard; Storia / History; Strumento / Instrument; Tassonomia / Taxonomy; Tecnica / Technology; Utensile / Tool.


Thursday, October 31, 2019

Un indice delle voci delle cose

Maurizio Vitta, Le voci delle cose, Torino : Einaudi, 2016

Indice
p. 3 Prologo
I. Il bisogno
10 1. L’Io, il Soggetto
13 2. Il bisogno delle cose
16 3- Oggetto, artefatto
19 4- Desiderio: epifania del design
23 5- Percezione
28 6. Il possesso e la perdita
31 7- Utente, usabilità
34 8. Femminile, maschile
37 9- Valore affettivo e valore sociale
40 10. Valore estetico e valore culturale
42 11. Il destino degli oggetti
44 12. Spettri
II. Il prodotto e la merce
53 1. Produzione, prodotto
56 2. Materia, materiali
59 3- Tecnologia, tecnica
62 4- La merce
64 5- Il prezzo
67 6. Il tipo e lo standard
69 7- Serie: grande, piccola
72 8. Qualità, quantità
75 9- Fordismo, taylorismo
77 10. Domestici, elettrodomestici, infodomestici
80 11. Packaging
82 12. Pubblicità
III. Design, designer
89 1. La forma degli oggetti
91 2. Design
95 3- Disegno industriale
98 4- Designer
101 5- Oggetto, oggetto d’uso
104 6. Oggetto di design
106 7- Progetto
109 8. Committenza
112 9- La firma, la moda, la copia
115 10. La scelta e la presenza
117 11. Norma, normazione, normatività
120 12. Perfezione, imperfezione
122 i3- Stile e maniera
125 14- Luce, design della luce
127 15- Exhibit design
130 16. Le varie facce del design
134 17- Filosofia del design
136 18. Storia del design
IV. Il consumo e il consumatore
146 1. Consumo
149 2. Il consumatore
152 3- La scelta e l’interesse
154 4- La funzione e l’oggetto d’uso
157 5- Dal lusso al consumismo
160 6. Abitare, abitazione, abitacolo
163 7- La casa
166 8. Ammobiliamento, arredamento
169 9- Abitudine
I72 10. Ordine, simmetria
175 11. Uso, riuso
178 12. Cosi fan tutte
181 13. Comunicare, comunicarsi
V. Il bene e il godimento
1. Form follows function or fiction
192 2. La forma e la gute Form
194 3. Il bello e il brutto
197 4. Il colore
200 5. Ornamento, seduzione, nature morte
203 6. Emozione, godimento
206 7. Il gusto e il «non so che»
209 8. Ironia, feticismo, esotismo
213 9. Artigianato, arte applicata, design
217 10. Antiquariato e oltre
219 11. Oggetto nell’arte, l’arte nell’oggetto
221 12. Il fuori serie
224 13. Le forme degli oggetti e l’estetica
227 14. Un bene culturale
229 15. Museo del design

236 Epilogo
239 Indice dei nomi

Tuesday, October 16, 2018

L'arte e la storia delle cose


Salterio di Luttrell (1320-45)

Immagine correlata
La leggenda di San Nicola (1437), del Beato Angelico

Il Mangiafagioli di Annibale Carracci
Il mangiafagioli (1584), di Annibale Carracci

Review, Masters of the Everyday: Dutch Artists in the Age of Vermeer, The Queen’s Gallery, UploadExpress, Ben Borland  
La lezione di musica (1662) di Johannes Vermeer


Ritratto di Lavoisier con la moglie (1788), di Jacques-Louis David

 © ANSA
Pittura murale alla villa La Falconiera (1868), di Giovanni Boldini

Immagine correlata
Automat (1927), Edward Hopper

Risultati immagini per depero
Pubblicità (1932), Fortunato Depero

Risultati immagini per guernica
Guernica (1937), di Pablo Picasso




Friday, November 16, 2012

What is what?

Cosa è una cosa?

Un affare, aggeggio, apparecchio, arnese, articolo, attrezzo, bazzecola, bene, carabattola, congegno, cosa, dispositivo, entità, ferro, gingillo, macchina, marchingegno, ninnolo, nonnulla, oggetto, pezzo, prodotto, quid, quisquilia, roba, sciocchezza, strumento, suppellettile, utensile. Le cose affollano l’intero alfabeto che farebbe l’en-plein se si aggiungessero, in un multilinguismo etnico, anche le voci di dialetti e lingue aliene: chose, çfare, Dinge, dongxi, dud, kakvo, ma, matter, piece, què, thing, Sache, stuff, truc, zer. E in questo spazio, intitolato alla cose e ai giorni, come non incominciare con una scorribanda tra le cose. Perché le cose sono il substrato, il fondamento della memoria. Quando la Rivista di Sinisgalli e Luraghi, “Civiltà delle Macchine”; nei primi anni ’50 del Novecento affermava che l’Italia che “non è un paese povero” affacciandosi al miracolo economico, le cose più arcane, per esempio gli oggetti che abitano nei Sassi di Matera, trovavano una perfetta armonizzazione con le tecnologie più avanzate. E Adamo, il computer traduttore automatico di Silvio Ceccato, conviveva con la lanterna e l’oliera di latta celebrata da Sinisgalli come archetipi del moderno design, e dimostrava che, come aveva affermato José Ortega y Gasset, senza la tecnica l’uomo non sarebbe mai esistito.
Un tempo le maestre vietavano nei componimenti dei propri allievi l’uso di questa parola troppo comune. Eppure “cosa” è un termine così importante che dimenticarne il ruolo sociale e culturale sarebbe proprio un grave danno in una società che ammaliata dalle sirene della multimedialità, dimentica che viviamo perché siamo immersi in un mondo di cose. La cosa, che alle sue origini latine vede le sue radici nella causa, mentre la res si è trasferita a pieno diritto nel mondo “reale”. Reale e virtuale è il binomio in cui si dibatte la nostra società, postindustriale o postcontemporanea che sia. Il virtuale stupisce nella sua assenza di cose, ma dove sta il fascino del catalogo, materiale e concreto, magari polveroso, di un vecchio solaio?
Nel suo saggio sulle Geografie della memoria (Torino : Einaudi, 2008) Antonella Tarpino afferma che le case sono “testimoni indelebili del trascorrere del tempo e dei volubili sentimenti che lo accompagnano”, Sono tracce di un legame sempre più incerto e fragile tra il passato (prossimo) e il presente, che le riviste patinate, glamour, non riescono a contemplare. La polvere, questa protagonista del tempo, viene mangiata dagli aspirapolvere e da un’infinità di altre “cose” che la pubblicità tecnologica ci propone quotidianamente. Le cose restano e non per nulla il Codice dei beni culturali e del paesaggio all’Articolo 10 afferma “Sono beni culturali le cose immobili e mobili […] che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.” La nostra storia è fondata sulle cose.
La “roba”, dal provenzale rauba, è invece termine che trova le sue radici nelle lingue germaniche dove roub, raub e rôf sono il bottino di guerra: da qui il nostro “rubare” e così i vizi capitali trionfano, proprio tutti. Ce lo insegna anche la morale che Giovanni Verga pone al centro del suo Mastro Don Gesualdo. La roba è l’insieme delle cose accumulate con avidità, l’idolo di una religione pagana e senza speranza. Più lontano dal nostro mondo, in Cinese, una lingua che prima o poi entrerà anche nel vecchio mondo, la cosa è 东西 (dong xi) e i due ideogrammi che la compongono significano “oriente” e “occidente”. Sarà una profezia?

Vittorio Marchis, artiche appeared on "Avvenire" on September 2, 2010.

Tuesday, November 6, 2018

Le fantasie di Grandville





Immagini di una società che si prepara al futuro

3. Grandville o le esposizioni universali.
(Dai Passagen Werk di Walter Benjamin)

Oui, quand le monde entier, de Paris jusqu’en Chine,
O divin Saint-Simon, sera dans ta doctrine
L’âge d ’or doit renaître avec tout son éclat
Les fleuves rouleront du thé du chocolat
Les moutons tout rôtis bonliront dans la plaine,
Et les brochets au bleu nageront dans la Seine;
Les épinards viendront au monde fricassés,
Avec des croûtons frits tout au tour concassés.
Les arbres produiront des pommes en compotes
Et l’on moissonnera des cerricks et des bottes;
Il neigera du vin, il pleuvra des poulets
Et du ciel les canards tomberont aux navets.
Lauglé et Vanderbusch, Louis et le Saint-Simonien
(Théâtre du Palais-Royale, 27 février 1832).

Le esposizioni universali sono luoghi di pellegrinaggio al feticcio
merce. «L’Europe s’est déplacé pour voir des marchandises»,
dice Taine nel 1855. Le esposizioni universali sono precedute da
esposizioni nazionali dell’industria, di cui la prima ha luogo nel
1798 sul Campo di Marte. Essa nasce dall’intento di «divertire le
classi operaie e diventa per loro una festa di emancipazione». La
classe operaia è in primo piano come cliente. L’ambito dell’indù-
stria dei divertimenti non si è ancora formato. Esso è fornito dalla
festa popolare. Il discorso di Chaptal all’industria inaugura questa
esposizione. - I sansimoniani, che progettano l’industrializzazione
del globo, fanno propria l’idea delle esposizioni universali.
Chevalier, la prima autorità nel nuovo campo, è allievo di Enfantin
ed editore del giornale sansimoniano «Le Globe». I sansimoniani
hanno previsto lo sviluppo dell’economia mondiale, ma non
la lotta di classe. Alla loro partecipazione alle imprese industriali
e commerciali verso la metà del secolo si accompagna il loro imbarazzo
nelle questioni riguardanti il proletariato.
Le esposizioni universali trasfigurano il valore di scambio delle
merci; creano un ambito in cui il loro valore d ’uso passa in secondo
piano; inaugurano una fantasmagoria in cui l’uomo entra
per lasciarsi distrarre. L’industria dei divertimenti gli facilita questo
compito, sollevandolo all’altezza della merce. Egli si abbandona
alle sue manipolazioni, godendo della propria estraniazione
da sé e dagli altri. - L’intronizzazione della merce e l’aureola di
distrazione che la circonda è il tema segreto dell’arte di Grandville.
A ciò corrisponde il dissidio fra l’elemento utopistico e l’elemento
cinico di essa. Le sue arguzie nella rappresentazione di oggetti
morti corrispondono a ciò che Marx chiama i «capricci teologici
» della merce. Essi si riflettono chiaramente nella spécialité
- una denominazione merceologica che sorge in questo periodo
nell’industria del lusso; sotto la matita di Grandville la natura intera
si trasforma in spécialités. Egli la presenta nello stesso spirito
in cui la pubblicità - anche questa parola sorge in quel periodo -
comincia a presentare i suoi articoli. Finisce pazzo.

Moda: Madama morte! Madama morte!
Giacomo Leopardi, Dialogo della moda e della morte.

Le esposizioni universali edificano l’universo delle merci. Le
fantasie di Grandville trasferiscono il carattere di merce all’universo.
Lo modernizzano. L’anello di Saturno diventa un balcone
in ferro battuto su cui gli abitanti di Saturno prendono aria la sera.
L’equivalente letterario di questa utopia grafica è rappresentato
dai libri del naturalista fourierista Toussenal. - La moda prescrive
il rituale secondo cui va adorato il feticcio della merce;
Grandville estende i diritti della moda agli oggetti dell’uso quotidiano
e al cosmo intero. Seguendola nei suoi estremi, ne svela la
natura. Essa è in conflitto con l’organico; accoppia il corpo vivente
al mondo inorganico, e fa valere sul vivente i diritti del cadavere.
Il feticismo, che soggiace al sex-appeal dell’inorganico, è il suo ganglio
vitale. Il culto della merce lo mette al proprio servizio.
Per l’esposizione universale di Parigi del 1867 Victor Hugo lancia
un manifesto: «Ai popoli d’Europa». Prima e più chiaramente
i loro interessi sono stati rappresentati dalle delegazioni operaie
francesi, deputata la prima all’esposizione universale di Londra del
1851, e la seconda, forte di 750 membri, a quella del 1862. Questa
seconda ha avuto un’importanza indiretta per la fondazione
dell’Associazione internazionale operaia di Marx. - La fantasmagoria
della civiltà capitalistica raggiunge la sua massima realizzazione
nell’esposizione universale del 1867. L’Impero è al culmine
della sua potenza. Parigi si conferma capitale del lusso e delle mode.
Offenbach detta il ritmo alla vita parigina. L’operetta è l’utopia
ironica di un dominio permanente del capitale.


Thursday, January 9, 2020

Pubblicità

Poster disegnato dal designer Giovanni Pintori su un’idea di Leonardo Sinisgalli. 1952


Monday, December 18, 2017

Gli argomenti dell'esame

LE DOMANDE DELL’ESAME

PROTAGONISTI (della storia delle cose): Galileo Galilei, Edward Tylor, Claude Lévi-Strauss, Georges Perec, Jean Baudrillard, Sigfried Giedion, George Basalla, Henry Petroski, Chris Ware, Leonardo Sinisgalli,  Carl Linné, Bruce Chatwin, Il Briccone Divino, Jonathan Gottschall, Walter Benjamin, Ohran Pamuk, Roland Barthes, Johan Huizinga, Karl Marx, John Ruskin,  Joseph Schumpeter, Marshall McLuhan, Aby Warburg.

CONCETTI (della storia delle cose): la cosa, il bricolage, il documento, la storia, la macchina, l’evoluzione, l’artificiale, la tassonomia, la scienza, la tecnica, le rivoluzioni, la cultura, la mitologia, l’artigianato, l’industria, il fare, l’innovazione, la metafora, il rito, il segno, la norma tecnica, il progetto, la similitudine, la misura, il museo, il monumento, la memoria, il catalogo, l’antropologia, lo strumento, il feticcio, il racconto, il giocattolo, la moda, la pubblicità, le esposizioni, la standardizzazione, il messaggio, i media, il brevetto, il kitsch

COSE (da ritrovare nella Vita istruzioni per l'uso di Georges Perec): libri, utensili, stoviglie, quadri, mobili, giocattoli, strumenti, orologi, soprammobili, abiti, bevande, apparecchi elettrici, monili, meccanismi, lampade e lampadari, strumenti musicali, soprammobili, ricette, calzature, scatole e contenitori, cosmetici, medicinali, giochi di carte e di società, puzzle, immagini religiose, materiali da costruzione, riviste e periodici, mezzi di trasporto, reperti storici, souvenir, reperti naturalistici, kitsch,


punteggio = 8 + 8 + 8 + (6) + (3)

La prova scritta dell'esame porta a un massimo di 24/30 a cui si possono aggiungere i 6/30 (max) del Blog e i 3/30 (max) del test intermedio. In ogni caso con l'orale è possibile incrementare (o diminuire) il voto conseguito. L'esame deve in ogni caso essere ripetuto quando il punteggio della prova scritta sia inferiore a 15/30.