Monday, November 13, 2017

Joseph Schumpeter

Nel 1912 l'economista austriaco Joseph Schumpeter pubblica un trattato intitolato Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung (Teoria dello sviluppo economico, Firenze : Sansoni, 1977). In esso analizza l'innovazione come fattore indispensabile per la sopravvivenza delle imprese e dell'intero sistema produttivo. L'innovazione secondo Schumpeter si attua attraverso cinque "meccanismi".

Così scrive Schumpeter:

“I meccanismi dell’innovazione industriale ed economica
I mutamenti spontanei e discontinui nell’orbita del flusso circolare e gli spostamenti del centro di equilibrio si verificano nella sfera della vita industriale e commerciale, ma non nella sfera dei bisogni dei consumatori dei prodotti finiti. Laddove si verificano mutamenti spontanei e discontinui nelle tendenze del gusto dei con­sumatori, avviene un improvviso mutamento nei dati di cui l’uomo d’affari deve tener conto e quindi sorge per lui un motivo e un’occa­sione per procedere possibilmente a qualcosa di diverso da un adat­tamento graduale della sua condotta, ma senza implicare in sé e per sé l’adozione di una condotta differente. Pertanto tali mutamenti non costituiscono un problema diverso da quello del cambiamento dei dati naturali e non richiedono alcun nuovo metodo di trattamen­to, per cui faremo astrazione da qualsiasi autonoma variazione nei bisogni dei consumatori e li supporremo come « dati ». Ciò è reso per noi più facile anche dal fatto, fondato sull’esperienza, che l’ambito dei mutamenti spontanei dei bisogni è generalmente ristret­to. Senza dubbio si deve sempre partire dalla soddisfazione dei biso­gni, dato che questo è lo scopo di ogni attività produttiva e che la situazione economica di volta in volta data deve essere intesa sotto questo aspetto. Tuttavia le innovazioni nel sistema economico non avvengono di regola in maniera tale che prima sorgono spontanea­mente nei consumatori nuovi bisogni e poi, sotto la loro pressione, l’apparato produttivo riceve un nuovo orientamento. Noi non ne­ghiamo il verificarsi di questo nesso. Però è il produttore che di regola inizia il cambiamento economico e i consumatori, se neces­sario, sono da lui educati; essi sono, come pure erano, considerati come persone che vogliono cose nuove, o cose che differiscono per qualche aspetto o per l’altro da quelle che sono abituati ad usare. Pertanto, mentre è ammissibile e anche necessario considerare i bi­sogni dei consumatori come una forza autonoma e addirittura fonda­mentale nella teoria del flusso circolare, noi dobbiamo invece assumere una differente attitudine appena ci rivolgiamo ad analizzare il « cambiamento ».

Ogni produzione consiste nel combinare materiali e forze che si trovano alla nostra portata. Produrre altre cose, o le stesse cose in modo differente, significa combinare queste cose e queste forze in maniera diversa. Finché la nuova combinazione viene raggiunta, con il tempo, partendo da quella vecchia, per piccoli passi e attraverso continui adattamenti, si ha certo un mutamento, ed eventualmente una crescita, ma non un nuovo fenomeno sottrat­to alla considerazione dell’equilibrio, né uno sviluppo nel senso no­stro. Nella misura in cui ciò non si verifica, ed anzi la nuova combi­nazione può prodursi o effettivamente si produce solo in maniera discontinua, sorgono invece i fenomeni caratteristici dello sviluppo. Per motivi di funzionalità nell’esposizione, quando parleremo di nuo­ve combinazioni di mezzi di produzione, intenderemo da qui in avan­ti solo questo caso. Lo sviluppo nel senso nostro viene allora definito dall’introduzione di nuove combinazioni.


Questo concetto comprende i cinque casi seguenti:

1. Produzione di un nuovo bene, vale a dire di un bene non ancora familiare alla cerchia dei consumatori, o di una nuova qualità di un bene.
2. Introduzione di un nuovo metodo di produzione, vale a dire non ancora sperimentato nel ramo dell’industria in questione, che non ha affatto bisogno di fondarsi su una nuova scoperta scientifica e che può consistere anche in un nuovo modo di trattare commercia­le una merce.
3. Apertura di un nuovo mercato, vale a dire di un mercato in CUI un particolare ramo dell’industria di un certo paese non era ancora penetrato, sia che questo mercato esistesse già prima oppure no.
4. Conquista di una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati, anche qui sia che questa fonte di approvvigionamento esistesse già prima sia che si debba innanzitutto crear­la.
5. Attuazione di una riorganizzazione di una qualsiasi industria come la creazione di un monopolio (ad esempio mediante la formazione di un « trust ») o la sua distruzione.

Due cose sono essenziali per i fenomeni connessi all'introduzione di queste nuove combinazioni, e per la comprensione dei problemi che ne risultano. In primo luogo, non è essenziale — benché possa avvenire — che le nuove combinazioni vengano introdotte dalle stesse persone che controllano il processo produttivo o commerciale che deve essere soppiantato da uno nuovo. Di regola anzi, le nuove combinazioni sono incorporate in nuove imprese che generalmente non nascono dalle vecchie ma iniziano a produrre accanto ad esse. Per attenerci all'esempio già scelto, non è, in generale, il padrone delle diligenze ad introdurre le ferrovie. Questa circostanza non solo pone in una luce particolare la discontinuità che contrassegna il processo che vogliamo descrivere, e crea, per così dire, una seconda specie di discontinuità, in aggiunta a quella sopra menziona­ta, ma spiega anche importanti caratteristiche del corso degli eventi. Specialmente nell’economia concorrenziale, in cui le nuove combina­zioni portano all’eliminazione delle vecchie appunto attraverso la con­correnza, si spiega così da un lato il processo di ascesa e caduta econo­mica e sociale di individui e di famiglie proprio di questa forma di organizzazione, nonché una intera serie di altri fenomeni relativi al ciclo vitale delle imprese e al meccanismo di formazione della ricchezza privata e così via. Anche in un’economia non di scambio, come ad esempio quella socialista, nuove combinazioni frequentemente com­parirebbero a fianco di quelle vecchie. Ma le conseguenze economiche di questo processo verrebbero meno parzialmente e quelle sociali com­pletamente. E se l’economia fondata sulla concorrenza è infranta dalla formazione di grandi gruppi industriali, come sempre di più avviene in tutti i paesi, allora questo deve diventare sempre di più vero nella vita reale, e l’introduzione di nuove combinazioni deve diven­tare in misura sempre maggiore affare interno di un medesimo orga­nismo economico. Tale differenza è abbastanza grande per fare da spartiacque fra due epoche della storia sociale del capitalismo.”


(Joseph Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico (1912), Firenze : Sansoni, 1977, pp. 74-77)

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