Monday, October 26, 2015

Cose e industrial design

Things & Industrial Design


Noi produciamo la macchina; la macchina ci opprime con una realtà inumana e può renderci sgradevole il rapporto con essa, il rapporto che abbiamo col mondo grazie ad essa. L'industrial design sembra risolvere il problema: fonde bellezza e utilità e ci restituisce una macchina umanizzata, a misura d'uomo. Un frullino, un coltello, una macchina da scrivere che esprime le sue possibilità d'uso in una serie di rapporti gradevoli, che invita la mano a toccarla, accarezzarla, usarla; ecco una soluzione. L'uomo si integra armoniosamente alla propria funzione e allo strumento che la permette. Ma di fronte a questa soluzione ottimistica insorge la coscienza avvertita del moralista e del critico del costume la realtà industriale maschera l'oppressione che esercita su di noi e ci invita a smemorare camuffando le nostre rese alla macchina che ci agisce, facendoci avvertire come gradevole un rapporto che invece ci diminuisce e ci rende schiavi. Cerchiamo dunque una soluzione. Per ricordare ai miei simili che manovrando la macchina da scrivere compiono un lavoro che non apparterrà loro e che pertanto li renderà schiavi, dovrò dunque costruire macchine malagevoli e spigolose, repellenti all'uso, ca­paci di provvedere a chi le manovra una sofferenza sa­lutare? L'idea è quasi morbosa, è il sogno di un pazzo, non c'è dubbio. Immaginiamoci che questi oggetti siano manovrati da persone che ormai lavorano non più per una potenza estranea, ma per se stessi e per il profitto comune. E’ ragionevole allora che gli oggetti esprimano una armonica integrazione tra forma e funzione? Nep­pure. A questo punto queste persone sarebbero fatal­mente trascinate a lavorare ipnoticamente, non tanto tesi al profitto comune quanto arresi immediatamente alla potenza fascinatrice dell'oggetto, a quella sua attrattiva per cui ci si sente invitati a smemorare, esercitando la funzione, nello strumento in cui la funzione si integra così facilmente. L'ultimo modello di carrozzeria di au­tomobile costituisce oggi una immagine mitica capace di divergere ogni nostra energia morale e farci perdere nella soddisfazione di un possesso che è un Ersatz; ma progettiamo una società collettivistica e pianificata in cui si lavori per provvedere ogni cittadino di una carroz­zeria nuovo modello, e la soluzione finale sarà ancora la medesima, l'acquiescenza nella contemplazione-uso di una forma che, integrando la nostra esperienza di impiego, diverge e acqueta tutte le nostre energie, scon­sigliandoci la tensione verso mete successive.
Badiamo bene: tutto questo è alienazione, ma lo è ineliminabilmente. Certo il sogno di una società più umana è il sogno di una società in cui tutti lavorino di comune accordo per avere più medicine, più libri e più automobili ultimo modello; ma che in ogni so­cietà tutto questo sia avvertito come alienante, comun­que, irrimediabilmente, lo provano le esperienze parallele dei beatniks della west toast e dei poeti che protestano in termini individualistici e crepuscolari sulla piazza Majakovskij.

Umberto Eco, Opera aperta, Milano : Bompiani, 1981, pp. 244-245.

Nota: si legga il saggio  di Giovanni Cutolo, Design, mercato e consumo.

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