Pes romanus (= 294,7 mm circa)
Nel corso di una nota orazione riportata dallo storico Dione Cassio, Mecenate elenca le nuove istituzioni della monarchia di Augusto: tra queste figura l'unificazione dei pesi e delle misure di lunghezza localmente adoperate con quelle di Roma. Il pes utilizzato dall'epoca di Ottaviano fino a Vespasiano fu impresso su due congii di bronzo che ancora oggi si possono vedere alla Famesina. Si tratta di uno degli aspetti meno noti del fenomeno della romanizzazione e dei complessi rapporti tra centro e periferia che avrebbero caratterizzato la storia sociale e politica di Roma. Lo strumento che esprimeva questa grandezza era la regula una sbarretta di bronzo a sezione quadrata della lunghezza approssimativamente di un pes. Le unità di misura localmente usate dovevano essere comparate con quella ufficialmente adoperata a Roma: magistrati urbani, aediles, praefectus urbis e praefectus civitatis nelle province occidentali, zugostates e xetronomoi nelle province orientali, avrebbero provveduto a verificare il valore dei campioni di lunghezza e peso adottati nei mercati locali. [...] Ritrovare la presenza del pes romanus nelle planimetrie delle case di Pompei è difficile: innanzitutto gran parte delle abitazioni che noi vediamo sorsero durante il lungo periodo di occupazione osca; in secondo luogo non possono non essere considerati i vincoli con cui la geometria costruttiva deve solitamente fare i conti: strade, paesaggio, edifici preesistenti, comportamento dei materiali utilizzati. [...] Una breve ma significativa campagna di rilievo planimetrico della Casa dei Polybii conferma quanto è stato sopra congetturato. Manca assolutamente un'impianto geometrico regolare degli spazi e ricercare un canone nella proporzione delle forme dei locali sarebbe un'operazione artificiosa e priva di significato. I vani non risultano simmetrici né a lati paralleli; i colonnati non rispettano alcuna regola negli interassi; le luci di apertura verso l'esterno hanno altezza variabile dal suolo da locale a locale; la larghezza dei passaggi come pure lo spessore dei muri non presenta caratteristiche di uniformità e di regolarità. Anche le misure effettuate sugli impianti idraulici non hanno evidenziato alcuna regola geometrica nel loro impianto né planimetrico né spaziale. È invece altrove che la presenza del pes e dei suoi sottomultipli si dichiara in maniera inequivocabile sì da affermare che, a dispetto della planimetria dei locali (condizionata invero da altri fattori), gli artigiani a Pompei (e per analogia nel mondo romano) usavano correntemente il pes e i suoi sottomultipli: il digitus (1/16 del piede), il palmus (1/8 del piede) e l'uncia ((1/12 del piede). [...] Ancor più sorprendente è la corrispondenza di un altro manufatto all'esigenza di usare l'uncia o il digitus. L'osservazione delle dimensioni funzionali delle lamine bronzee da serratura (sia per infissi, sia per mobilia), e soprattutto le dimensioni degli interassi tra i fori per le viti (o chiodi) di fissaggio delle medesime al corpo ligneo del battente rispondono a misure standard nella serie del digitus e dell'uncia come dei loro multipli. La spiegazione trova una giustificazione che ancora una volta si fonda sui processi, spesso taciti, dei trasferimenti del sapere tecnico; quando due diverse culture si incontrano ed hanno ciascuna il proprio linguaggio ed i propri protocolli, bisogna trovare punti di incontro obiettivi che non diano luogo a fraintendimenti. Quando un falegname preparava un mobile doveva necessariamente prevederne una serratura con il suo alloggiamento: questo manufatto bronzeo, pur essendo il sistema di produzione completamente artigianale, era prodotto da un altro artigiano, il fabbro, a cui bisognava "trasferire" una specifica tecnica sintetica e riproducibile sul manufatto medesimo. E' chiaro come una semplice standardizzazione dimensionale potesse facilitare sia il lavoro del fabbro sia quello del falegname. Questo «teorema» che con un pizzico di humour potrebbe essere chiamato «della serratura», trova notevoli applicazioni nell'esame dimensionale dei manufatti e dei prodotti artigianali dell'antichità e dimostra che le misure sono necessarie quando bisogna interfacciare sistemi di natura differente, tra culture diverse, normalmente separate da ragioni
di natura sociale piuttosto che strettamente tecnologica. [...]
G. De Pasquale e V. Marchis, Alcune considerazioni sul Pes Romanus, Estratto da ISTITUTO E MUSEO DI STORIA DELLA SCIENZA, FIRENZE, "NUNCIUS - ANNALI DI STORIA DELLA SCIENZA", Anno XI, 1996, fasc. 2
(il testo completo è disponibile sul portale della didattica)
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