Friday, October 12, 2012

Confortable, a feature

Here the beginning of a Chapter of the book At Home (in Italian)

Il salotto

Volendo riassumerla in una frase, si potrebbe dire che la storia della vita privata è la storia dell'agio conquistato con lentezza. Fino al diciottesimo secolo, l'idea di stare comodi a casa propria era così sconosciuta che non esisteva nemmeno una parola per descriverla. II termine comfortable significava semplicemente « capace di essere consolato ». Il conforto era qualcosa che si offriva a chi era ferito o angosciato. II primo a usare la parola nel senso moderno fu lo scrittore Horace Walpole, che nel 1770, in una lettera a un amico, osservava che una certa Mrs White lo accudiva nel migliore dei modi facendolo sentire « il più comodo possibile ». All'inizio del diciannovesimo secolo tutti parlavano di case comode o vite como­de, ma prima dell'epoca di Walpole non lo faceva nessuno.
Il locale di casa che incarna meglio di qualsiasi altro lo spirito (se non la realtà) della comodità è la stanza dal nome strano in cui ci troviamo ora, la drawing room (il salotto). II termine è un'ab­breviazione dell'antico withdrawing room, che indicava uno spa­zio in cui la famiglia si poteva « ritirare » isolandosi dagli altri abitanti della casa, e non è mai realmente entrato nell'inglese parlato. Per un certo periodo, nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, negli ambienti più raffinati, subì la concorrenza del fran­cese salon, a volte anglicizzato in saloon, ma con l'andare del tempo entrambi i termini vennero gradualmente associati a spazi non domestici e saloon passò a indicare prima un locale pubblico in un albergo o in una nave, poi un luogo in cui si serve da: bere e alla fine, inaspettatamente, un tipo di automobile. Salon, dal canto suo, venne indissolubilmente associato alle creazioni artistiche e per finire, a partire dagli anni Dieci, ai parrucchieri e agli istituti di bellezza. Parlour, il termine a lungo prediletto dagli americani per indicare il locale principale della casa, ha un sentore di frontiera ottocentesca, ma in realtà è il più antico di tutti. [...]

(Bill Bryson, Breve storia della vita privata, Parma : Guanda, 2011, p. 147)

Thursday, October 11, 2012

The vessel for liquid stuff

For the definition of the "thing" a family of words can be organized.

Eg. The container of liquid must have:

HANDLE
CAP
NECK
BASE

LABEL

The MATERIAL features must accomplish the object function.

Tese considerations can apply also to the majority of the common objects


Wednesday, October 10, 2012

Hyperblog Index


  1. Ball - Palla
  2. Belt - Cintura
  3. Book - Libro
  4. Boot - Stivale
  5. Bottle - Bottiglia
  6. Broom - Scopa
  7. Bucket - Secchiello
  8. Bulb lamp - Lampadina
  9. Button - Bottone
  10. Candle - Candela
  11. Chair - Sedia
  12. Cigarette -Sigaretta
  13. Clock - Orologio
  14. Clothespin - Molletta da bucato
  15. Coffepot - Caffettiera
  16. Coin - Moneta
  17. Collant - Collant
  18. Comb - Pettine
  19. Compass - Bussola
  20. Condom - Preservativo
  21. Cork - Tappo
  22. Corkscrew - Cavatappi
  23. Dish - Piatto
  24. Earphones - Auricolari
  25. Earring - Orecchino
  26. Female shoes - Scarpe da donna
  27. Flashlight - Torciaelettrica
  28. Funnel - Imbuto
  29. Foulard - Foulard
  30. Glass - Bicchiere
  31. Glasses - Occhiali
  32. Gloves - Guanti
  33. Guitar - Chitarra
  34. Hairbrush - Spazzola
  35. Hammer - Martello
  36. Harmonic - Armonica
  37. Hat - Cappello
  38. Headphones - Cuffia
  39. High Heel Shoes - Scarpe a tacchi alti
  40. Jeans - Jeans
  41. Key - Chiave
  42. Kite - Aquilone
  43. Knittingneedles - Ferri da maglia
  44. Lemonsqeezer - Spremiagrumi
  45. Lighter - Accendino
  46. Macaroni - Maccherone
  47. Mannequin - Manichino
  48. Matches - Fiammiferi
  49. Microphone - Microfono
  50. Mirror - Specchio
  51. Nail - Chiodo
  52. Nailclipper - Tagliaunghie
  53. Necklace - Collana
  54. Paintbrush - Pennello
  55. Pen - Penna
  56. Pencil - Matita
  57. Pipe - Pipa
  58. Playing cards - Carte da gioco
  59. Peppermill - Macinapepe
  60. Postcard - Cartolina
  61. Razor - Rasoio
  62. Record - Disco
  63. Ring - Anello
  64. Rucksac - Zaino
  65. Safety pin - Spilla da balia
  66. Scissors - Forbici
  67. Spoon - Cucchiaio
  68. Sport shoes - scarpe sportive
  69. Stamp - Timbro
  70. Stocking - Calza 
  71. Sunglasses - Occhiali da sole
  72. Sword - Spada
  73. Syringe - Siringa
  74. Teacup - Tazza da te
  75. Teafilter - Filtro da te
  76. Tennis racket - Racchetta da tennis
  77. Thimble - Ditale
  78. Tie - Cravatta
  79. Toothbrush - Spazzolino da denti
  80. Umbrella - Ombrello
  81. Umbrella - Parapluie
  82. Whistle - Fischietto
  83. Wirehanger - Appendiabiti
  84. Wrench - Chiave inglese

Friday, October 5, 2012

Things & Industrial Design



Noi produciamo la macchina; la macchina ci opprime con una realtà inumana e può renderci sgradevole il rapporto con essa, il rapporto che abbiamo col mondo grazie ad essa. L'industrial design sembra risolvere il problema: fonde bellezza e utilità e ci restituisce una macchina umanizzata, a misura d'uomo. Un frullino, un coltello, una macchina da scrivere che esprime le sue possibilità d'uso in una serie di rapporti gradevoli, che invita la mano a toccarla, accarezzarla, usarla; ecco una soluzione. L'uomo si integra armoniosamente alla propria funzione e allo strumento che la permette. Ma di fronte a questa soluzione ottimistica insorge la coscienza avvertita del moralista e del critico del costume la realtà industriale maschera l'oppressione che esercita su di noi e ci invita a smemorare camuffando le nostre rese alla macchina che ci agisce, facendoci avvertire come gradevole un rapporto che invece ci diminuisce e ci rende schiavi. Cerchiamo dunque una soluzione. Per ricordare ai miei simili che manovrando la macchina da scrivere compiono un lavoro che non apparterrà loro e che pertanto li renderà schiavi, dovrò dunque costruire macchine malagevoli e spigolose, repellenti all'uso, ca­paci di provvedere a chi le manovra una sofferenza sa­lutare? L'idea è quasi morbosa, è il sogno di un pazzo, non c'è dubbio. Immaginiamoci che questi oggetti siano manovrati da persone che ormai lavorano non più per una potenza estranea, ma per se stessi e per il profitto comune. E’ ragionevole allora che gli oggetti esprimano una armonica integrazione tra forma e funzione? Nep­pure. A questo punto queste persone sarebbero fatal­mente trascinate a lavorare ipnoticamente, non tanto tesi al profitto comune quanto arresi immediatamente alla potenza fascinatrice dell'oggetto, a quella sua attrattiva per cui ci si sente invitati a smemorare, esercitando la funzione, nello strumento in cui la funzione si integra così facilmente. L'ultimo modello di carrozzeria di au­tomobile costituisce oggi una immagine mitica capace di divergere ogni nostra energia morale e farci perdere nella soddisfazione di un possesso che è un Ersatz; ma progettiamo una società collettivistica e pianificata in cui si lavori per provvedere ogni cittadino di una carroz­zeria nuovo modello, e la soluzione finale sarà ancora la medesima, l'acquiescenza nella contemplazione-uso di una forma che, integrando la nostra esperienza di impiego, diverge e acqueta tutte le nostre energie, scon­sigliandoci la tensione verso mete successive.
Badiamo bene: tutto questo è alienazione, ma lo è ineliminabilmente. Certo il sogno di una società più umana è il sogno di una società in cui tutti lavorino di comune accordo per avere più medicine, più libri e più automobili ultimo modello; ma che in ogni so­cietà tutto questo sia avvertito come alienante, comun­que, irrimediabilmente, lo provano le esperienze parallele dei beatniks della west toast e dei poeti che protestano in termini individualistici e crepuscolari sulla piazza Majakovskij.

Umberto Eco, Opera aperta, Milano : Bompiani, 1981, pp. 244-245.

Nota: si legga il saggio  di Giovanni Cutolo, Design, mercato e consumo.

The lectures


October  4, 2012: Introduction. How to follow the lectures. The first Thing: the club.
October 11, 2012: The Things: a critical review of the selected items. The second Thing: the "vase-bottle" family.
Octobrr 18, 2012: The Collection. Sign, Message, Writing, Document. The third Thing: the vacuum cleaner.
October 25, 2012: The Time Arrow. A movie: The Sleeper directed by Woody Allen. The fourth Thing: the toy.
November 8, 2012: The artisanal world. A movie: L'albero degli zoccoli by Ermanno Olmi. The fifth Thing: the shuttle.
November 15, 2012: The industrial world. A movie: Acciaio by Walter Ruttman. The sixth Thing; the bicycle.
November 22, 2012: The artificial time. A movie: Metropolis by Fritz Lang. The seventh Thing: the clock
November 29, 2012: The "lookmakers". The clothing history. The eighth Thing: the fabric.
December 6, 2012: The consumer society. The ninth Ting: the garbage.
December 13, 2012: The forgotten sense. Some smelling things.The tenth Ting: the coffee machine.
December 20, 2012: The philosophy of the museum. A "concept map" and "place" for the solid memory.

Thursday, October 4, 2012

History of the World in 100 Objects

Even if the BBC programs (and the book) by Neil MacGregor tell histories of mostly ancient objects (Neil MacGregor is director of the British Museum, London) by listening (or reading) some of them is possible to have an idea for preparing "your" story of the selected Thing.

The Book and the 100 Objects in Wikipedia

BBC & the British Museum: A History of the Worls (download mp3 and transcript)

An example: Episode 100: A portable solar energy panel lamp.
Episode 100 transcript
Testo in italiano


LAMPADA SOLARE E ACCUMULATORE
Prodotti a Shenzhen, Guangdong, Cina
2010 D.C.
Come dovrebbe concludersi la nostra storia del mondo? Con un oggetto che riesca a darci un'idea del nostro pianeta nel 2010, che esprima i timori e le aspirazioni dell'umanità, che condensi un'esperienza universale e al tempo stesso abbia un'importanza pratica per il maggior numero possibile di persone. Già, ma quale oggetto soddisfa questi requisiti?
Col senno di poi sarebbe tutto molto più semplice. Sono sicuro che nel 2110 il direttore del British Museum avrà un'idea chiarissima dell'oggetto che avremmo dovuto acquisire per mantenerci in sintonia col nostro tempo, e sorriderà - o storcerà il naso – davanti a quello che invece abbiamo scelto. Per quella data i fatti o gli sviluppi storici che hanno plasmato i primi decenni del ventunesimo secolo saranno ormai evidenti. Ma noi siamo costretti a decidere nell'ignoranza cui ci condanna il presente. Ci siamo chiesti se fosse il caso di scegliere un oggetto proveniente dall'Antartide, cioè dall'ultimo luogo in cui si sono insediati gli uomini, la tappa finale del loro esodo dall'Africa. Se riusciamo a sopravvivere in quelle condizioni è solo grazie all'equipaggiamento che siamo stati in grado di mettere a punto, e quindi una tuta tecnica progettata per vivere e lavorare in Antartide esprimerebbe alla perfezione il paradosso dell'Homo faber: le cose che fabbrichiamo ci permettono di dominare il nostro ambiente, ma a nostra volta da quelle cose finiamo per essere dominati e dipendere. In ogni caso, come apice dell'inventiva umana, un abito progettato per il luogo più inospitale della terra e indossabile al massimo da alcune migliaia di persone sarebbe stato una scelta un po' miope.
Uno dei fenomeni storici più interessanti degli ultimi decenni del secolo scorso è stato la migrazione di milioni di persone verso città raggiunte, a volte, superando distanze enormi. I migranti hanno cambiato la demografia del mondo, hanno creato qualcosa che in questa forma non era mai esistito: la città globale, dove vivono gomito a gomito, e in relativa armonia, persone provenienti da ogni continente. A Londra, per esempio, si parlano oggi più di 300 lingue diverse. Ebbene, a prescindere da quanto si lasciano alle spalle, i migranti portano sempre con sé la loro cucina; da questo punto di vista l'umanità non è mai cambiata. Perciò, sulle prime, avevamo pensato che il nostro centesimo oggetto potesse essere una serie di utensili da cucina, che ci avrebbero permesso di cogliere la stupefacente varietà delle ricette — e quindi delle culture gastronomiche — che oggi coesistono nelle grandi città del mondo. Ma in questa storia ci siamo diffusamente occupati degli oggetti che usiamo per cucinare, bere e mangiare, e siamo tornati più volte sull'espansione delle città nell'arco dei millenni: l'assortimento internazionale di vasi rotti trovati a Kilwa (capitolo 60) ci ha raccontato come già 1000 anni fa gli scambi culturali interessassero anche la cucina. Dunque, niente utensili.
Oggi, tuttavia, una sola attività umana è veramente globale: il gioco del calcio. L'avvenimento più seguito del 2010 è stato il mondiale in Sudafrica. Come abbiamo visto nel capitolo 38, quando abbiamo parlato della cintura cerimoniale per il gioco della palla, lo sport è sempre servito ad aggregare le comunità, ma oggi sembra che sia andato oltre, unificando il mondo: campioni provenienti dall'Africa occidentale giocano in squadre inglesi che appartengono a uomini d'affari russi; le copie delle loro maglie vengono prodotte in Asia e vendute in Sudamerica. È vero, la maglia di una squadra di calcio può aiutarci a descrivere il presente nel suo aspetto più lieve, e infatti ne abbiamo comprata una per le nostre collezioni: ma del futuro che abbiamo davanti forse non ci dice molto.
Alla fine abbiamo deciso che il centesimo oggetto doveva avere a che fare con la tecnologia, dal momento che ogni anno nuovi dispositivi cambiano le nostre relazioni personali e il nostro modo di lavorare. Un ottimo esempio di quanto stiamo dicendo è il telefono cellulare o, meglio ancora, lo smartphone. Ha più o meno le stesse dimensioni delle tavolette di argilla mesopotamiche, che sono state il primo tentativo dell'umanità di comunicare a distanza, e da quando esiste il nostro modo di scrivere è cambiato: il linguaggio degli SMS è la nuova scrittura cuneiforme. Il cellulare collega all'istante milioni di persone in tutto il mondo, raduna folle enormi come nessun tamburo di guerra è mai riuscito a fare, e se può accedere a Internet ci apre mondi di conoscenza che gli illuministi neppure avrebbero immaginato. Oggi, nelle società avanzate, la vita senza il cellulare è inimmaginabile. Ma il telefono dipende dall'energia elettrica: in sua assenza, è inutile.
Ecco perché il nostro centesimo oggetto è un generatore di elettricità, che potrebbe consentire a un miliardo e 600 milioni di persone, prive di accesso alla rete elettrica, l'energia necessaria a entrare nel mondo delle relazioni globali. Ma questo oggetto può fare molto di più: può offrire a quelle stesse persone un controllo avanzato dell'ambiente, quindi la possibilità di vivere in modo diverso. Che cosa sarà mai questo oggetto misterioso? vi domanderete. È una lampada a energia solare.
Quello che abbiamo acquistato è in realtà un piccolo kit di cui fanno parte una lampada di plastica alimentata da una batteria ricaricabile da 6 volt e, separatamente, un piccolo pannello fotovoltaico che funge da accumulatore. La lampada ha una maniglia e le dimensioni di una grossa tazza da caffè, mentre il pannello assomiglia a un portafotografie d'argento non tanto grande, di quelli che teniamo sulla scrivania o sul comodino. Se il pannello viene esposto per 8 ore alla luce del sole, la lampada può fornire fino a 100 ore di luce bianca costante. Al massimo della carica, è in grado di illuminare un'intera stanza – quanto basta per consentire a una famiglia senza accesso alla rete elettrica di vivere in maniera del tutto nuova. L'intero kit è in vendita a circa 2250 rupie (45 dollari), anche se un semplice faro costa 499 rupie (10 dollari). Ma, una volta pagato, ha bisogno esclusivamente del sole.
I pannelli fotovoltaici convertono la luce solare in elettricità. Se riuscissimo a servircene con maggiore efficacia, tutti i nostri problemi energetici sarebbero risolti. La terra riceve in un'ora più energia solare di quanta non ne consumi in un anno tutta la popolazione mondiale, e i pannelli fotovoltaici sono uno dei modi più semplici e pratici di imbrigliare l'energia illimitata del sole trasformandola in energia pulita, affidabile e a basso costo.
I pannelli sono costituiti da celle di silicio connesse da una rete metallica e racchiuse in involucri di plastica e vetro. Appena esposte alla luce del sole, le celle generano elettricità, che a sua volta va ad alimentare una batteria ricaricabile. Il kit impiega molte nuove tecnologie che negli ultimi tempi hanno trasformato la nostra vita: in buona parte è fatto di plastica, mentre l'accumulatore dipende dal silicio, comepersonal computer e telefoni cellulari. Anche le batterie ricaricabili sono un'innovazione recente. Insomma, questa fonte di energia apparentemente low-tech ha in realtà elementi molto sofisticati.
Tornando alla nostra lampada, è una soluzione elegante e a basso costo, che consente di soddisfare le necessità energetiche di base: produce infatti una modica quantità di energia non solo economica, ma anche durevole. L'aggettivo «modica» è importante. Anche se il silicio costa poco, e la luce del sole è gratuita, pannelli solari di dimensioni tali da generare le enormi quantità di energia elettrica consumate ogni ora dai paesi ricchi avrebbero un costo proibitivo. In sostanza, ci troviamo di fronte al paradosso di una tecnologia costosa per i ricchi e a buon mercato per i poveri.
Molte fra le popolazioni più povere al mondo vivono alle latitudini più soleggiate. Per questo il fotovoltaico è così importante in Asia meridionale, nell'Africa subsahariana e nelle aree del continente americano vicine ai tropici. In una famiglia povera, un numero anche piccolo di volt può fare la differenza. Se si vive ai tropici senza elettricità, il giorno finisce presto. All'illuminazione notturna provvedono candele o lampade a cherosene, ma le candele rischiarano appena e non durano, mentre il cherosene è costoso (consuma in media il 20 per cento del reddito rurale in Africa) ed emette fumi tossici. Le lampade al cherosene e le stufe economiche provocano fino a 3 milioni di morti ogni anno, per la maggior parte donne, perché i fumi sono particolarmente pericolosi negli spazi chiusi, cioè dove si cucina. Inoltre le case sono quasi sempre in legno o in altri materiali naturali altamente infiammabili, quindi esposte al rischio di incendi.
L'avvento dei pannelli solari fotovoltaici potrebbe cambiare quasi ogni aspetto di questa esistenza domestica. La luce gratuita permetterebbe ai bambini – e agli adulti – di studiare la sera, migliorando la propria istruzione e pertanto il proprio futuro. La casa diventerebbe più sicura. Pannelli più grandi potrebbero fornire il calore per cucinare, eliminando i pericoli dei fumi e del fuoco. Ma potrebbero anche fornire energia a frigoriferi, televisioni, computer e pompe idriche, portando nei villaggi gran parte dei beni che oggi si vanno a cercare in città.
Ovviamente il nostro piccolo kit non ha tutti questi poteri, ma insieme alla luce offre qualcosa di molto significativo. Sull'accumulatore c'è un simbolo universalmente noto: la sagoma di un telefono cellulare. Questo strumento ha trasformato da solo l'Africa e l'Asia rurali, avvicinando le comunità, garantendo l'accesso all'informazione sul lavoro e sui mercati, fornendo la base per le nuove reti bancarie informali, che funzionano splendidamente: insomma, ha reso possibile avviare attività economiche anche in assenza di investimenti.
Da un recente studio sui pescatori di sardine dello Stato indiano del Kerala si intuisce che cosa comporti l'introduzione del cellulare in una comunità. Da quando lo possiedono, i pescatori fanno un lavoro molto più sicuro (grazie al meteo in tempo reale) e molto più redditizio: l'accesso alle informazioni sul mercato ha aumentato i profitti, in media, dell'8 per cento. In un altro studio sull'uso del cellulare in Asia meridionale si legge che, con la sua introduzione, il tenore di vita di tutta una serie di soggetti – lavoratori a giornata, contadini, prostitute, conduttori di risciò, bottegai – è sensibilmente migliorato. I pannelli solari servono anche a questo, a rendere il cellulare accessibile a tutti, perfino a chi vive nelle comunità rurali più povere.
Una tecnologia che porta tanti e tali benefici in termini di salute, sicurezza, istruzione, comunicazione e affari ha un che di miracoloso. I pannelli solari non richiedono infrastrutture troppo costose, e il modesto investimento iniziale può essere coperto da una delle tante forme di microfinanziamento oggi disponibili. Una lampada come la nostra, di fatto, si può pagare a rate in uno o due anni con i soli risparmi del cherosene. Economica, pulita, verde: questa tecnologia è alla portata di un numero sempre maggiore di persone, e offre enormi opportunità alle fasce più disagiate.
Ma a beneficiare della sua diffusione potrebbe essere anche l'ambiente: l'energia solare è infatti una risposta alla dipendenza da combustibili fossili, fra le cause principali del riscaldamento globale.
È una possibilità già implicita nelle parole di colui che, più di ogni altro, dobbiamo ringraziare – o accusare – di aver introdotto l'energia elettrica nelle nostre vite: Thomas Edison. È una vera sorpresa scoprire che proprio l'inventore della lampadina, e di molti altri prodotti legati all'elettricità, sia stato un profeta dell'energia rinnovabile. Nel 1931 Edison arringava così i suoi amici Henry Ford e Harvey Firestone: «Fosse per me, investirei tutto il mio denaro nel sole e nell'energia solare. Che fonte di energia! Spero solo di non dover aspettare che il petrolio e il carbone si esauriscano, prima di riuscire a sfruttarla».
L'energia solare sembra un epilogo soddisfacente di questa storia globale. Garantisce alla popolazione le opportunità cui abbiamo accennato sopra, e lo fa senza danneggiare il pianeta. È un sogno del futuro nel quale riecheggia il più profondo e universale dei miti umani: quello del sole che dà la vita. Ecco, la nostra lampada incarna una versione più modesta di quel mito, con Prometeo che, più che rubare il fuoco, dà una mano in cucina.
In fondo abbiamo sempre sognato di catturare il sole, e quando abbiamo imparato a conservare sotto vuoto i frutti della bella stagione, in modo che il calore e il nutrimento dell'estate ci accompagnassero nel corso dell'inverno, abbiamo fatto un piccolo passo in quella direzione. Nel capitolo 1 abbiamo visto il sacerdote egizio Hornedjitef portare con sé, nella tenebra dell'oltretomba, uno scarabeo, simbolo magico della forza rigeneratrice del sole. Oggi, per rischiararsi la via, Hornedjitef sceglierebbe forse una lampada a energia solare. (in Storia del mondo in 1000 oggetti, edizione italiana, Milano : Adelphi, 2012)

Istruzioni per l'esame - Notes for the final exam

Every student must choose a THING (a simple common object, that will be brought in the class).
Every student must choose a book (see the suggested ones), to read and to bring for the exam
Every student must prepare a blog (i.e. http://student_code.blogspot.it) containing the posts:
- The names of the THING (translation in several languages, etymologies, word families...)
- The images of the THING (icones and emblematic pictures)
- The collection of the THING (5-10 images, with captions and refences, according to a taxonomy criterion)
- The stories of the THING (songs, movies, novels where the thing is a protagonist)

then the posts will show the STORYof the selected THING with respect society, culture, chronicles,.. starting from the present and going back in the past. Do not insert downloaded (or copied) texts but prefer images and links to web pages.

At the end, the blog shall contain a short written text about  Ethics and Aesthetics of the THING.